L’inquilino che afferma di aver pagato dei canoni in eccedenza, deve fornire una prova documentale
a cura dell’avv. Carlo Stabile
La nona Sezione Civile del Tribunale di Napoli riprende e conferma l’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione, ribadendo il principio secondo cui è soggetto alla sanzione della nullità qualsiasi accordo mediante il quale il locatore chiede un canone di locazione eccedente quello già indicato nel contratto registrato.
Nella prassi, accade spesso che il proprietario di un’unità immobiliare prospetti al possibile conduttore di pagare un canone maggiore rispetto a quello effettivamente riportato all’interno del contratto di locazione che sarà poi registrato. Di talché, l’inquilino si ritrova a dover pagare una somma eccedente rispetto a quella formalmente pattuita ed oggetto di registrazione. In termini giuridici, si tratta di un patto aggiunto, esterno al contratto e qualificabile come accordo simulatorio.
La motivazione che è posta alla base di tale fenomeno è lampante e reca presunti vantaggi al proprietario dell’immobile: dichiarare all’Agenzia delle Entrate un canone più basso rispetto a quello effettivamente percepito comporta per il locatore un’imposta sul reddito meno salata.
Gli interventi del legislatore
Per cercare di porvi rimedio, si sono succeduti molteplici interventi, provenienti da diversi fronti. Dal punto di vista prettamente fiscale, di recente è stata introdotta una flat tax (ndr cedolare secca). Per ciò che qui maggiormente interessa, gli interventi del legislatore hanno sempre mirato a colpire chi dall’accordo simulatorio ne trae vantaggio, vale a dire il locatore.
Uno dei primi contributi è rappresentato dalla L. 27 luglio 1978 n. 392, altrimenti nota come Legge sull’equo canone. L’articolo 79 prendeva in considerazione proprio l’ipotesi sopra descritta, colpendo con la sanzione della nullità «ogni pattuizione diretta […] ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge».
Esattamente vent’anni dopo è stata introdotta la previsione di cui all’art. 13 del D.lgs. 9 dicembre 1998, n. 431, la cd. Legge sulle locazioni abitative, che riprende la disposizione sull’equo canone e con l’occasione la abroga. Più specificamente, l’articolo in questione stabilisce che «è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato».
Ma v’è di più. Al secondo comma, l’art. 13 introduce una seconda ed imponente conseguenza giuridica: è fatto obbligo al locatore di restituire le somme corrisposte in eccesso da parte del proprio inquilino.
Ma cosa accadrebbe se in realtà un accordo simulatorio non esistesse? Cosa succederebbe se l’inquilino non sapesse di pagare una parte dell’affitto in nero? È la questione che si è trovata ad affrontare la nona sezione civile del Tribunale di Napoli. Spoiler alert: il risultato è identico.
Il caso di specie
I proprietari di un’unità abitativa convenivano in giudizio il conduttore, tale P.G., al fine di contestargli il mancato pagamento del canone di locazione per 11 mensilità e perciò ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento. In buona sostanza, gli attori lamentavano la morosità di un canone mensile pari ad € 200,00 che emergeva dal contratto registrato e depositato in giudizio.
Sin qui, tutto nella norma. In apparenza, si trattava di un semplice sfratto per morosità, se non fosse che, nelle realtà dei fatti, i locatori avevano ricevuto almeno il doppio della somma dichiarata.
Ogni mese, l’inquilino versava € 400,00 semplicemente poiché il contratto in suo possesso, fornitogli dai locatori, alla sezione dedicata al canone prevedeva proprio questa cifra: era questa la somma che aveva pattuito per poter condurre in locazione l’appartamento.
Invero, sin dal principio i locatori avevano prospettato al conduttore di aver registrato un contratto recante un canone di € 400,00 mensili. Al fine di fuorviare il proprio inquilino, i proprietari dell’unità abitativa gli consegnavano una copia di un contratto che avevano creato ad arte, con un canone più alto rispetto a quello registrato e, per non destare alcun sospetto, lo avevano addirittura cesellato con la fotocopia del timbro di registrazione dell’altro contratto, quello da € 200,00 mensili effettivamente registrato.
Insomma, il conduttore scopriva che per anni aveva pagato un canone maggiore rispetto a quello dichiarato dai locatori all’Agenzia delle Entrate. Si costituiva perciò in giudizio assistito dagli avvocati Felice ed Andrea Ragone del Foro di Napoli, i quali, previo deposito del contratto di locazione che era stato consegnato all’inquilino, spiegavano domanda riconvenzionale avente ad oggetto la ripetizione dell’indebito, promossa proprio in considerazione delle somme già versate in eccedenza dall’inizio del rapporto.
Ebbene, il Tribunale di Napoli faceva proprio il principio espresso dalla Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze n. 18213 e 18214 del 2015, stabilendo che qualsivoglia patto aggiunto avente ad oggetto la maggiorazione del canone, quandanche coevo alla stipula del contratto valido, è insanabilmente nullo. Nullità che però non comporta altresì la nullità dell’intera convenzione negoziale, che pertanto restava valida.
In definitiva, proprio in considerazione della previsione di cui all’art. 13 del D.lgs. 9 dicembre 1998, n. 431, nonché della giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, il Tribunale di Napoli non solo rigettava la domanda attorea di sfratto per morosità ma, in accoglimento della domanda riconvenzionale come prospettata dallo Studio Legale Ragone, condannava gli attori alla restituzione dell’intera somma in eccesso incassata in nero, oltre interessi dalla domanda al soddisfo.
La prova del versamento della maggior somma
La sentenza della nona Sezione Civile del Tribunale napoletano è degna di attenzione anche per il diverso profilo dell’onere probatorio: è pacifico come ogniqualvolta l’inquilino voglia dimostrare di aver pagato dei canoni in eccedenza, debba necessariamente fornire una prova documentale che riesca a suffragare quanto affermato. Tanto in considerazione del generale divieto di presunzione derivante da un’altra presunzione, espresso dal brocardo latino praesumptio de praesumpto.
All’uopo, il Tribunale di Napoli prendeva in considerazione il dato documentale costituito da due atti di queitanza relativi a due diverse mensilità, prodotti dal conduttore e che recavano la sottoscrizione di uno dei proprietari. Tanto consentiva di addivenire al fatto ignoto del pagamento dei canoni in eccedenza dall’inizio del rapporto.
Risultato a cui il Giudicante giungeva anche mediante la valutazione del contratto davvero registrato: erano stati proprio i proprietari dell’unità abitativa ad ammettere inconsapevolmente l’esistenza di un accordo simulatorio. Aprendosi così alle conseguenze giuridiche derivanti dall’aver incassato in nero parte del canone di locazione.
avv. Carlo Stabile