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Clausola accolla al conduttore le tasse dell’immobile locato? Per la Cassazione è valida

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L’ammontare del canone è lasciato alla libera determinazione delle parti che possono prevedere oneri accessori

A cura di ALFRED BIANCO, esperto tributario

Risolvendo una questione di notevole valenza nomofilattica, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6882 dell’8/3/2019, hanno affermato che la clausola di un contratto di locazione, che attribuisca al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l’art. 53 Cost., qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi, in tal caso, di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge.

Con l’ordinanza interlocutoria n. 28437 del 28 novembre 2017 – oggetto di commento di A. Bianco, Traslazione convenzionale di imposta e sinallagma del contratto di locazione, in questa Rivista, 2018, n. 10, p. 42 ss., e ivi richiami dottrinari e giurisprudenziali – la III Sezione aveva investito il supremo organo di nomofilachia per decidere la liceità di un accordo traslativo di natura fiscale (nella specie, riguardante l’Ici, l’Imu, ecc.) inserito in un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo del seguente tenore: «nel corso dell’intera durata del presente contratto, il conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo conseguentemente manlevato il locatore relativamente agli stessi».

La denuncia del conduttore

Il suddetto conduttore aveva denunciato soprattutto la violazione dell’art. 1418, comma 1, c.c. (secondo cui «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative»), in riferimento all’art. 53 Cost. (in base al quale «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»), ed in collegamento con l’art. 2 Cost. (che richiede «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»).

Veniva richiamato, altresì, il disposto dell’art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente), il quale stabilisce che è «ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario», esplicitamente ammettendo la negoziabilità del debito di imposta con l’unico limite posto all’autonomia privata consistente nell’impossibilità di liberare, tramite l’accollo, l’originario contribuente.

Si trattava, dunque, di analizzare se un patto come quello di cui sopra, in cui le parti avevano convenuto che il conduttore avrebbe «rimborsato» al locatore l’importo delle imposte sull’immobile anticipate da quest’ultimo, potesse trovare ingresso nel nostro ordinamento; dagli atti di causa emergeva, per un verso, che il locatore, dopo avere pagato le imposte all’Erario, ogni anno emetteva fattura per il corrispondente importo nei confronti del conduttore, che provvedeva al pagamento, e, per altro verso, che tali fatture risultavano emesse separatamente da quelle emesse per il pagamento dei canoni di locazione.

Il peso fiscale addossato a chi non ha alcun rapporto con lo Stato

Attraverso un simile accordo, si potrebbe, infatti, sostenere non solo che il peso fiscale risulta addossato – in base alla mera volontà privata – ad un soggetto che non ha alcun rapporto con lo Stato in relazione alla specifica fattispecie impositiva (nella circostanza, le imposte sull’immobile), e la cui «capacità contributiva» diviene, quindi, irrilevante, ma, di fatto, quest’ultima perderebbe significato anche rispetto all’originario debitore tributario, atteso che egli, pur essendo colui in capo al quale sussistono i presupposti della fattispecie impositiva, in conclusione non sosterrebbe più alcun sacrificio economico per concorrere alle spese pubbliche, essendogli l’esborso interamente restituito dall’altra parte del contratto.

Al contempo, si potrebbe, però, affermare che il fatto che il debitore originario (ossia il locatore) abbia adempiuto la propria obbligazione fiscale con lo Stato lo pone pienamente in sintonia con l’ordinamento, e chiude ogni discussione sulla rilevanza dell’art. 53 Cost., al quale lo stesso si sarebbe, così, conformato; quello che avviene dopo riguarda qualcosa che attiene esclusivamente all’autonomia privata contrattuale delle parti che, in mancanza di una norma espressa che commini una nullità, sono libere di regolare come ritengono i loro rapporti economici.

Orbene, il massimo consesso decidente, nel decidere la controversia, ha opinato di dare continuità giuridica ad un proprio precedente (v. Cass. S.U. n. 6445/1985). In quell’occasione, si è affermato che il patto traslativo d’imposta è nullo per illiceità della causa contraria all’ordine pubblico «solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito».

L’ipotesi di rivalsa facoltativa

Ipotesi che si verifica nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal sostituto medesimo, sicché effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente, e non anche nell’ipotesi in cui l’imposta è stata regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco, allorquando cioè l’obbligazione di cui si stipula l’accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente, ma riguarda una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il «prezzo» della prestazione negoziale.

Si è, quindi, confermato il carattere di centralità che il dovere tributario è venuto assumendo nella Costituzione repubblicana, il cui art. 53 si pone come fonte immediata ed imperativa, la cui violazione può comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti, sottolineando che l’autonomia privata non possa alterare i connotati dei tributi diretti, strutturati in modo che «ad ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa», poiché, alla stregua dei principi scaturenti dal coordinamento degli artt. 2 e 53, la Costituzione esige che quel concorso, imposto al contribuente, incida sul suo patrimonio.

Il doppio volto del principio costituzionale

In proposito, il principio costituzionale rivela un doppio volto: da un lato, vincola il legislatore a riportare il presupposto oggettivo dei tributi all’attitudine dei singoli e, dall’altro, vincola questi ultimi a contribuire alle spese pubbliche in ragione proprio della loro attitudine personale; allo stesso tempo, costituisce un presidio affinché essi siano tassati solo per fatti economici espressivi di capacità contributiva: la commisurazione del carico tributario su ciascun soggetto deve essere parametrata alla sua condizione individuale, senza che su quella commisurazione possano incidere ricchezze da altri prodotte.

Le Sezioni Unite hanno ulteriormente posto in rilievo che, nel vigente sistema costituzionale tributario, non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il fisco, ma occorre anche che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla, a cui carico gli artt. 53 e 2 Cost. pongono un dovere ribadito dall’art. 1 della legge della legge sul contenzioso tributario; la prestazione imposta di carattere tributario postula, infatti, che «una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto» individuato dalla legge come soggetto passivo del tributo, con «correlativo sacrificio personale».

Si è, altresì, evidenziato come la rivalsa renda «neutrale» la tassazione in testa al sostituto, presentandosi come un credito del medesimo verso il contribuente pari alla somma di cui egli è debitore verso il fisco (e che ha già corrisposto).

La pattuizione di esonero dalla rivalsa

Si conclude nel senso che una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l’effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario, perché il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso, non verificandosi da parte sua quell’esborso verso il fisco che realizza il doveroso carico tributario, e non presentandosi qui con effetto compensativo l’incremento tassabile che ne consegue, poiché tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo da cui è conseguito l’aumento di reddito, non essendo omologhe le situazioni in raffronto.

Peraltro, il principio delineato dalle Sezioni Unite nel 1985 – condiviso dalla dottrina maggioritaria – ha successivamente ricevuto costante conferma da parte dei giudici di Piazza Cavour, venendo a costituire principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass. nn. 6232/1991 e 3770/2015, con riferimento al contratto di mutuo; Cass. nn. 3577/1995 e 24307/2009, relativamente all’imposta sulla pubblicità; Cass. n. 13261/1999, in tema di intestazione fiduciaria di azioni; Cass. n. 22369/2004, in ordine a contratto di locazione ad uso diverso da abitazione contemplante un canone comprensivo anche degli oneri accessori).

Il cuore della questione va, dunque, rinvenuto nel quesito se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente «oggettivo», nel senso di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva, oppure anche «soggettivo», nel senso che l’adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma anche dal soggetto in capo al quale si verifica il presupposto dell’obbligazione tributaria.

L’autonomia negoziale privata

Detto in altri termini, considerando che l’art. 53 Cost. ha natura imperativa, e quindi come direttamente precettíva, si tratta di acclarare se – a parte le ipotesi in cui vi siano espressi divieti di traslazione da parte di specifiche norme tributarie – sull’individuazione del soggetto passivo dell’imposta possa incidere l’autonomia negoziale privata, neutralizzando così gli effetti della capacità contributiva.

Sul punto, si premette che il legislatore ha vincolato, per quanto concerne le locazioni non abitative, l’autonomia negoziale dei contraenti soltanto per quanto attinente alla durata del contratto, alla tutela dell’avviamento e alla prelazione, mentre l’ammontare del canone locativo è lasciato alla libera determinazione delle parti, che possono ben prevedere l’obbligazione di pagamento per oneri accessori.

Ciò premesso, viene evidenziato, in primis, il dato letterale, avvertendo che la parola «manlevare» va intesa nel senso di «operare un rimborso» o «una diversa forma di pagamento variamente posta a carico del conduttore», ponendo ulteriormente in rilievo che la stessa previsione della «fatturazione del rimborso degli oneri per imposte» risultasse coerente con la natura di rimborso di tale componente del canone.

Clausola valutata alla stregua del complessivo tenore del contratto

Inoltre, la clausola in esame va valutata alla stregua del complessivo tenore del contratto, dove, con due distinte clausole contrattuali di un «unico atto», le parti avevano inteso determinare il canone in due diverse componenti, e – per quel che qui rileva – con «un’ulteriore voce», ossia la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari, costituente «integrazione» del canone locativo, concorrendo a determinarne l’ammontare complessivo a tale titolo dovuto dal conduttore.

Si è, poi, preso in adeguato rilievo l’interesse pratico che, con la stipulazione e la specifica previsione in argomento, le parti avevano nella specie inteso in concreto realizzare. D’altronde, registrando la presenza di un canone di locazione ab origine realmente pattuito, non risultava integrata nemmeno la violazione del divieto posto all’art. 79 della legge n. 392/1978, c.d. sull’equo canone, anche alla stregua dell’interpretazione secondo cui è insanabilmente nullo solo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, a prescindere dall’avvenuta registrazione (v. Cass. S.U. n. 23601/2017).

A cura di ALFRED BIANCO, esperto tributario
Tratto dal bimestrale ‘La proprietà edilizia’, numero giugno-agosto 2021

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