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NormativeLe norme condominiali non possono vietare di possedere animali domestici

Le norme condominiali non possono vietare di possedere animali domestici

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Ma attenzione alla definizione: ci sono ancora equivoci in materia

La riforma del condominio di dieci anni fa ha visibilmente innovato la disciplina relativa alla tenuta degli animali nelle case, ponendosi a favore dei compagni «non umani» e consentendo anche all’Italia di allinearsi alla corrente di pensiero comune in gran parte d’Europa.

Con la legge n. 220/2012 è stata infatti introdotta un’importante innovazione che ha precisamente riguardato l’art. 1138 del codice civile, specificando all’ultimo comma come «le norme del regolamento (di condominio) non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». La scelta terminologica adottata dal legislatore, ovvero il termine «domestico» anziché quello indicato in prima stesura, ovvero «animali da compagnia» si è giustificata al fine di evitare di legittimare la presenza di animali esotici negli alloggi condominiali.

In realtà, la modifica della disposizione non ha affatto sgombrato il campo dagli equivoci in materia, posto che si rivela alquanto dubbio considerare «domestico» un criceto, un cincillà o un furetto, nonostante il sentire comune sia indirizzato in altro modo.

Il parere della Società Italiana Veterinari Animali Esotici

Vero è che, secondo la Società Italiana Veterinari Animali Esotici, «il legislatore ha perso l’occasione per adottare una definizione scientificamente esatta e giuridicamente sostenibile», in quanto «utilizzando l’impropria definizione di animali domestici, il condominio dice sì al maiale (che è domestico) in salotto e no al criceto (che non lo è)».

Al tal proposito molti, come l’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani), hanno evidenziato che un’interpretazione eccessivamente restrittiva della definizione, oltre che impropria sul piano scientifico, confliggerebbe con la Convenzione Europea per la Protezione degli Animali da Compagnia, ratificata come legge dello Stato italiano e volta a tutelare «ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia».

A conferma di ciò basti osservare che, nella definizione di animale da compagnia, contenuta nel D.P.C.M. 28 del febbraio 2003, che ha recepito l’accordo recante disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy, si parla di «ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall’uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all’uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione, e impiegati nella pubblicità. Gli animali selvatici non sono considerati animali da compagnia».

Gli animali domestici pericolosi in Italia

La materia, inoltre, va necessariamente contemperata con quanto previsto dalla legge in relazione alla detenzione di animali c.d. «selvatici»: in Italia, infatti, possedere particolari specie di animali domestici pericolosi, o rientranti in specie protette, è vietato e può comportare severe conseguenze secondo quanto previsto dalla legge n. 150 del 1992.

Il provvedimento contiene sia la disciplina penale relativa all’applicazione della CITIES (Convention on International Trade of Endangered Species), nonché le norme su commercio e detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili, che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica. All’art. 6 del testo citato viene fatto espresso divieto di commerciare o detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici che possono costituire pericolo per la salute o l’incolumità pubblica, pena l’applicazione di severe sanzioni penali.

Le specie c.d. «pericolose» sono elencate nel D.M. 19 aprile 1996 (e successive modificazioni) e raccolte in una lista comprendente circa 10 Ordini e 54 Famiglie appartenenti alle Classi di Mammiferi e Rettili, con i relativi generi e specie, che si aggiungono a quelle previste a livello comunitario e sovranazionale.

A titolo esemplificativo, nell’elenco sono presenti ratti marsupiali, canguri, lemuri, numerose specie di scimmie, lupi, volpi, orsi lavatori, tassi, lontre e numerosi felidi (leoni, tigri, pantere, etc.), ma anche cinghiali, cervidi, bovidi, alcune tartarughe e serpenti (pitone, anaconda, cobra, serpente a sonagli etc.).

Le pene per la violazione delle prescrizioni

La violazione delle prescrizioni può costare, come precisa la legge n. 68/2015, l’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da euro quindicimila a euro centocinquantamila. In caso di recidiva, si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro trentamila a euro trecentomila, mentre, qualora il reato sia commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni.

Gli animali detenuti illegittimamente sono confiscati e (ai sensi della legge n. 344/1997) ricoverati presso appositi centri di accoglienza, che dovranno rispettare precisi requisiti strutturali e assicurare competenze specialistiche legate alle caratteristiche degli animali e a quelle sanitarie e di benessere degli stessi.  Alla normativa suddetta ha fatto seguito anche il D. Lgs. 15 dicembre 2017, n. 230, in vigore dal 14 febbraio 2018, che ha adeguato la normativa nazionale alle disposizioni europee del regolamento UE n. 1143/2014 sulle «specie esotiche invasive».

Gli atti dell’Unione Europea

Nel 2021 è stata infine pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea. Tra gli atti UE a cui la normativa interna dovrà adeguarsi, c’è il regolamento UE 2016/429, che si occupa delle malattie animali trasmissibili e impone, tra i vari principi e criteri direttivi da attuare, anche quello di «prevedere ulteriori misure restrittive al commercio di animali, affiancate da un sistema sanzionatorio adeguato ed efficace, tra cui uno specifico divieto di importazione, conservazione e commercio di fauna selvatica ed esotica, anche al fine di ridurre il rischio di focolai di zoonosi, nonché l’introduzione di norme penali volte a punire il commercio di specie protette».

Il Governo ha tempo fino all’8 maggio del 2022 (12 mesi dall’entrata in vigore della legge delega in vigore dall’8 maggio 2021) per emanare il decreto attuativo che disporrà restrizioni e divieti all’importazione e al commercio degli animali selvatici.

A cura dell’avv. LEONARDO LASTEI
Tratto da Federproprieta.it

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